Giamaica, America del nord. Scoppia la febbre del Rum

Abbiamo lasciato Barbados mentre è ormai all’apice del suo successo come regina indiscussa della canna da zucchero. Le coltivazioni intensive lasciano però i terreni sempre più poveri e inadatti alla coltivazione. Siamo a cavallo fra il XVII e il XVIII secolo, l’Inghilterra vede il suo impero crescere sempre di più e si instaura in ciclo economico per cui i prodotti manifatturieri di base sono prodotti nelle colonie, vengono spediti in madre patria e qui vengono affinati e rifiniti per poi essere rivenduti. Da parte delle colonie non vi può essere commercio se non diretto verso le altre colonie o l’Inghilterra che trae profitto anche dalle tasse sulle transazioni economiche e sui prodotti commercializzati. Lo zucchero e il Rum diventano la benzina di cui si nutre la macchina dell’impero britannico e i coloni si spingono sempre di più alla ricerca di nuovi territori per la coltivazione della canna da zucchero. Nascono così, attorno al 1650, le colonie di Saint Kitts, Nevis, Montserrat e Antigua. Ma è solo nel 1655 che entra negli annali dello zucchero e del Rum quella che diventerà la colonia numero uno per la produzione di questi prodotti, stiamo parlando della Giamaica. A differenza di quanto avvenuto a Barbados, in Giamaica l’impostazione produttiva è sin da subito impostata in un’ottica di lungo periodo. In questo periodo storico nasce quella che viene definita plantocracy (per chi volesse approfondire questo tema consiglio l’ottimo sito di Russel Campbell). Un senso comune diffuso e il supporto legislativo garantiscono che ogni proprietario di piantagione abbia un posto nel parlamento britannico, pertanto si assiste alla nascita di una lobby particolarmente potente sia sul piano politico che economico.

È in Giamaica che si cominciano ad affinare maggiormente le tecniche di produzione, dalla fermentazione fino alla distillazione. C’è però un retaggio culturale che deve ancora essere abbattuto. Il Rum è ancora considerato una bevanda da schiavi, da alcuni autori dell’epoca descritto come un liquido ammazza diavoli poco adatto agli esseri umani. La spinta che il Rum subisce nei consumi e nella commercializzazione dipende da fattori sociali e di marketing. Tutto parte in Inghilterra nel XVIII secolo, dove assistiamo alla nascita di una nuova classe media composta da commercianti e persone la cui fortuna è dovuta alla ricchezza proveniente dalle colonie sparse in giro per il mondo. Nascono circoli, club e aumentano i momenti di socialità che meritano di essere celebrati sorseggiando una bevanda alcolica. In quel preciso momento storico, però, ci sono poche possibilità di scelta reperibili su vasta scala: il Gin, il Genever olandese, il Brandy francese e il Rum dei Caraibi. Il Gin è da sempre associato ai bassifondi della società civile, bevuto da reietti ed emarginati. Il Genever e il Brandy sono soffocati economicamente da dazi doganali elevati, rimane il Rum. Da questo punto di vista si assiste ad una campagna di marketing che trasformerà il Rum da bevanda da schiavi in quel distillato misterioso e dall’immagine esotica che la nuova classe media britannica sta cercando per arricchire e caratterizzare meglio il proprio status. A questo si aggiunge una grave carestia che colpisce duramente le coltivazioni di grano e cereali in tutta la Gran Bretagna. La potente lobby dello zucchero non si lascia sfuggire l’occasione e si muove affinchè venga messa al bando la distillazione dei cereali, da utilizzare unicamente per l’alimentazione umana. A questo punto il Rum ha la strada spianata davanti a sè, diventa la bevanda preferita dalla classe media, con Giamaica e America del nord a contendersi il mercato interno (America del nord? Sì, avete letto bene, ne parlo poco più avanti). Si comincia a bere Rum praticamente ovunque, dalla madre patria fino all’America del Nord. Una piccola curiosità, all’inizio del XVII secolo sui moli di Bristol sono stoccati poco più di 200 litri di Rum proveniente dai Caraibi, dopo mezzo secolo si cominciano a costruire nuovi porti e magazzini per lo stoccaggio del distillato, i volumi crescono a dismisura.

Mentre Barbados diventa sempre più marginale per quanto riguarda la produzione di Rum diretto in Inghilterra essa raggiunge l’apice della sua importanza per l’esportazione di melassa verso le colonie del Nord America. Di fatto il circuito economico britannico prevede che le colonie possano commerciare solo fra loro e, dal 1750, vediamo nascere dapprima a New York, poi a Boston e via via in sempre più neo nate città coloniali sulla costa est del nord America, decine, se non centinaia, di distillerie. Il Rum viene usato come merce di scambio, come drink da sorseggiare in occasioni di socialità e come strumento per la sottomissione e il controllo delle popolazioni native nord americane, convinte in svariati modi, fra cui il Rum, a non allearsi con i Francesi. La secolare lotta franco inglese infatti ha semplicemente trovato nel nord America un nuovo fronte. Sembra incredibile ma nella pratica sarà il Rum, o meglio la melassa, ad accendere anche la miccia della rivoluzione americana. Con l’acuirsi della tensione tra Francia ed Inghilterra, la prima mette al bando l’importazione sul suolo francese di melassa e Rum. Questo si traduce nella disponibilità di enormi quantità di melassa ad un prezzo estremamente basso. Gli introiti provenienti dal commercio di Rum e Melassa con i paesi Europei vengono però a mancare e Londra stabilisce l’applicazione di una tassa sull’utilizzo della materia prima della distillazione (molasses act). Gli oltre 143 distillatori presenti in America del nord nel 1735 non hanno rappresentanti in parlamento, aspetto di cui invece approfittano i grandi proprietari delle piantagioni caraibiche che spesso e volentieri hanno rappresentanti politici o sono essi stessi parlamentari. Questa disparità di rappresentanza crea uno squilibrio legislativo a favore dei grandi baronati dello zucchero, con evidente risentimento da parte di tutti i coloniali del nord America. Scatta una protesta che si traduce in un commercio parallelo e clandestino della melassa guidato dal rifiuto di versare tasse sulla materia prima della distillazione, fino a quando, nel 1755, sulla scia degli scarsi introiti del molasses act, viene promulgato dal governo di sua Maestà il sugar act, con cui l’industria dello zucchero e del Rum viene messa in ginocchio. Queste due leggi, e altri provvedimenti adottati in quel periodo dal governo britannico, contribuiranno ad esasperare le tensioni fra inglesi e coloni americani e a rendere la madre patria sempre più invisa in tutto il nord America. Con lo scoppio della guerra di indipendenza americana (1765-1783) il rum vede avvicinarsi il proprio declino per quanto riguarda tutto il nord America. Da bevanda di emancipazione e libertaria, si consumava rum infatti per sostenere il mercato messo in crisi dalle leggi britanniche, esso diventa il simbolo del giogo inglese. La nuova nazione americana vede nel Rum il passato, un simbolo del vecchio padrone, è in questo modo che nasce l’esigenza di un nuovo distillato nazionale, nasce il whiskey, ma non è questo il sito giusto!

Tornando alla Giamaica, dal 1700 fino alla seconda metà del 1800, si assiste alla crescita esponenziale non solo delle piantagioni dedicate alla canna da zucchero ma, a differenza di quanto avvenuto a Barbados, anche alla crescita tecnologica degli impianti di produzione e all’affinamento delle tecniche legate sia all’agricoltura che alla distillazione. Se all’inizio dell’epoca della distillazione il Rum veniva prodotto icon modalità alquanto artigianali, in questo periodo compaiono personaggi, termini, pratiche e strumenti che ancora oggi vengono utilizzati e che prima, semplicemente, non esistevano. I primi accorgimenti vengono dedicati alla fermentazione, per poi arrivare alla distillazione. Compaiono i primi trattati e manuali di distillazione e fanno capolino sulla linea della storia nomi che oggi ci fanno venire la pelle d’oca, o l’acquolina in bocca. Ve ne anticipo qualcuno, ma ne parleremo meglio nel prossimo capitolo della storia del Rum: dunder, muck pit, lieviti indigeni, fermentazione spontanea, jamaican funk, Martin, Cooper, Savalle, Coffey, Wray… etc etc. Si comincia anche ad assistere alla differenziazioni all’interno della stessa isola, cosa che vediamo ancora oggi, con specializzazioni e stili che nascono proprio in questo periodo. La Giamaica diventa il grande laboratorio in cui si sperimenta e si inventa il rum del futuro, un’isola che diventa una startup ante litteram. Alla prossima!

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