Il tramonto della via dello zucchero, i Rum Cubani e l’era moderna

Vi sono due fatti che sanciscono una linea di demarcazione definitiva per la produzione di zucchero e Rum per come la abbiamo imparata a conoscere in questo piccolo percorso storico: la scoperta della possibilità di ricavare zucchero dalla barbabietola e l’abolizione della schiavitù. Fra il 1700 e il 1800 si comincia ad estrarre zucchero dalla barbabietola in quanto, con le guerre napoleoniche, il commercio di zucchero di canna dalle colonie è estremamente difficoltoso. La coltivazione della barbabietola è tendenzialmente di pari costo rispetto alla canna da zucchero ma ha il vantaggio di poter essere eseguita direttamente in continente Europeo. Nel determinare il calo di produzione di zucchero di canna nei Caraibi interviene anche un altro elemento fondamentale: nel 1833 viene ufficialmente abolita la pratica della schiavitù da parte inglese, anche se servirà qualche anno per il definitivo abbandono di questa barbarie, largamente utilizzata nelle piantagioni caraibiche e in tutto il continente americano. Appare evidente come la produzione di zucchero sia diventata quindi economicamente non più vantaggiosa. Si assiste pertanto alla separazione praticamente definitiva dal processo di produzione di zucchero e quello della distillazione di melassa. Il mercato del Rum è infatti ancora florido e sono numerose le riconversioni in distillerie di numerose sugar mills sparse un po’ in tutti i Caraibi. Il mercato prevalente, attorno alla metà del diciannovesimo secolo, è quello britannico. Questo primato non è dovuto solo al consumo interno ma anche alla presenza di numerosi commercianti che hanno deciso di creare un Brand, utilizzando Rum provenienti da diversi paesi: nascono in questo periodo alcuni dei Blend più famosi, alcuni ancora sul mercato. Sto parlando di Lamb, Lemon Hart’s, Booker Brothers e successivamente, nei primi anni del novecento, anche di Doorly’s e R.L. Seale.

Cambiano i tempi e anche i gusti dei clienti. Se fino ad ora la top player di tutta la filiera del Rum è stata la Giamaica, attorno al 1850 è la Guyana britannica, con il suo stile Demerara, a essere la regina del mercato. In Guyana sono attive nel 1850 oltre 300 piantagioni di canna da zucchero con annessa distilleria. È il sogno di qualsiasi blender, data la vastità non solo quantitativa ma anche qualitativa dei Rum prodotti. Proviene dalla impossibilità di gestire lunghe fermentazioni, a differenza delle distillerie Giamaicane, la nascita di distillati che creano quello che è tutt’ora un vero e proprio caposaldo del panorama mondiale del Rum: lo stile Demerara. Alla fine del diciannovesimo secolo anche lo storico blend per la marina (originariamente composto da Rum Giamaicani, Guyanensi e di Barbados) conterrà quasi solo Rum Demerara. I produttori della Guyana hanno avuto il merito di trovarsi al posto giusto al momento giusto, sapendo trasformare un problema (la scarsità di spazi adeguati per le lunghe fermentazioni) in un punto di forza. Avviene a cavallo fra il 1800 e il 1900 un grande cambiamento anche nei gusti dei compratori europei. Comincia l’arte della miscelazione e cresce la richiesta di Rum più leggeri dal punto di vista aromatico, in antitesi con quello che è il marchio Giamaicano nella distillazione: la potenza e la ricchezza aromatica.

La grande assente in questo racconto, finora, è stata Cuba, nell’immaginario collettivo la vera patria del Rum. Questa affermazione per quanto mi riguarda è la cosa più lontana dalla realtà, ma fate un sondaggio fra persone che non sanno quasi nulla di distillati e chiedetegli “qual è il rum migliore al mondo?”.  La risposta sarà quasi sicuramente il Rum cubano. Nonostante sia la culla della tipologia di Rum maggiormente prodotto in tutto il mondo, la storia di Cuba è davvero poco intrecciata con quella della canna da zucchero, almeno all’inizio. Barbados, Guyana e Giamaica sono nate e cresciute grazie alle piantagioni ma Cuba ha avuto un percorso storico diverso. Cuba è nata come colonia sotto il controllo degli spagnoli, dichiaratamente interessati più alla ricerca di metalli preziosi che al commercio. Le poche piantagioni e distillerie presenti sull’isola videro addirittura confiscare le proprie attrezzature a causa di un decreto, varato nel 1714, con lo scopo di salvaguardare il monopolio di brandy e vino, potenzialmente attaccabile dalla produzione di Rum (o Ron in questo caso). Nella continua lotta per il dominio sulle colonie che ha visto scontrarsi le maggiori potenze europee fra il 1700 e il 1800, Cuba viene conquistata dagli inglesi nel 1762. Il controllo inglese durerà solo undici mesi, ma questo breve periodo è sufficiente perché nell’isola venga avviata una massiccia e sistematica produzione di canna da zucchero. In questi undici mesi vengono portati sull’isola oltre 4000 schiavi e tutte le attrezzature per la produzione di zucchero e la distillazione di Rum. Nel momento in cui la corona spagnola rientra in possesso di Cuba, essa si ritrova fra le mani un’isola trasformata nel tessuto produttivo. Nel 1777, infine, il commercio di Rum viene legalizzato e sull’isola vengono deportati migliaia di schiavi per il lavoro nelle piantagioni. Si creano i presupposti per cui Cuba, nel 1860, avrà sul suo territorio oltre 1365 distillerie, producendo da sola, già dal 1829, più zucchero e Rum di quanto ne viene prodotto da tutte le colonie britanniche messe insieme. Si assiste ad un ulteriore differenziazione all’interno del mondo del Rum. Andando incontro ai nuovi gusti del mercato il Rum cubano si caratterizza per processi produttivi che creano profili più leggeri, utilizzando anche gli ultimi ritrovati in fatto di distillazione: gli alambicchi continui a una o più colonne. È il passaggio definitivo verso i light Rum. L’altro grande merito di Cuba è quello di aver dato vita ad un concetto nuovo nel mondo della distillazione: il marchio. Sono i Cubani infatti, e in particolar modo Facundo Bacardi, a produrre ed imbottigliare un prodotto con il proprio brand stampato sopra. Fino a quel momento nessuna distilleria aveva commercializzato direttamente i propri prodotti, da parte delle colonie britanniche questa pratica non è ancora minimamente considerata e infatti tutto il Rum che si trova sul mercato europeo nei primi anni del novecento ha i nomi dei blender che acquistano il Rum nei Caraibi e lo imbottigliano a proprio nome (Doorly’s, R.L. Seale, etc…).

Il ventesimo secolo è un periodo importante per il Rum, che caratterizza profondamente ciò che oggi ci ritroviamo in bottiglia e ha creato anche certe convinzioni che faticano a ed essere smantellate tuttora. Sul mercato globale il Rum più bevuto è quello Cubano, leggero e adatto alla miscelazione, e nei Caraibi? Cosa sta succedendo in Giamaica, a Barbados o in Martinica? Per quanto riguarda le Antille francesi, la produzione di zucchero da barbabietola è stato un duro colpo. Molte distillerie e piantagioni vengono chiuse e l’eruzione del Mont Pelèe del 1902 segna la fine della produzione su larga scala di Rum sulle isole francesi. Ciò che viene lasciato da questi cataclismi economici e naturali è più o meno quanto vediamo oggi in Martinica e Guadalupa: piccole realtà che si sono specializzate nella produzione di un Rum proveniente dalla distillazione del succo fresco di canna, il Rhum Agricole. Dal lato britannico assistiamo alla lotta per l’identità della Giamaica che continua a produrre Rum di alto profilo aromatico, anche se dobbiamo ammettere che il panorama è cambiato. Il Rum prodotto è utilizzato per il mercato interno e in parte esportato verso Inghilterra e Germania, un mercato emergente che trova nel Rum Giamaicano il proprio prodotto preferito. Come spesso accaduto certe politiche possono sia disintegrare una filiera produttiva sia creare le condizioni per la nascita di qualcosa di nuovo. L’imposizione di dazi sull’importazione di Rum dall’estero in Germania, legge promulgata nel 1889, rende necessario trovare un sistema per non pagare troppe tasse sul Rum. Si cominciano a distillare e ad esportare verso il continente stock di Rum particolarmente ricchi dal punto di vista dei congeneri (le sostanze non alcoliche che conferiscono aromi al distillato) che vengono definiti “continental flavoured”. Agli importatori tedeschi basta tagliare queste bombe aromatiche con acqua o spiriti neutri per aggirare il problema delle tasse. Questa pratica aiuta a completare il panorama della produzione di Rum in Giamaica: abbiamo i common clean, plummer, wedderburn e i continental flavoured, classificazione autoregolamentata giamaicana in vigore ancora oggi.

Il numero di distillerie nei caraibi si ridimensiona considerevolmente e, a parte la Guyana, tutti si trovano parecchio in difficoltà, ritrovandosi a vendere la propria produzione esclusivamente a commercianti per la produzione dei propri blend. Il proibizionismo degli alcolici negli Stati Uniti (1919-1933) sancisce l’ascesa di Cuba non solo come produttrice di Rum ma anche come capitale del divertimento e della miscelazione di cocktail. Gli statunitensi alla ricerca di emozioni forti, e alcool, senza il rischio di essere arrestati, possono raggiungere Cuba dalla Florida e andare in alcuni dei locali più iconici di tutta la storia del bartending come il Floridita o lo Sloppy Joe’s. Nascono in questo periodo alcuni drink che consacrano i light Rum, Bacardi e Havana Club sopra tutti, come i veri rappresentanti del mondo della distillazione da canna da zucchero, sotterrando secoli di storia e tecniche produttive. Si assiste ad un colpo di coda del “Rum delle origini” grazie al diffondersi della cultura Tiki dal 1934 al 1945. Uno dei fondatori del movimento Tiki (vi invito a consultare google se non sapete di cosa si tratta), Ernest Raymond Beaumont Gantt o semplicemente Donn Beach era un amante dei Rum pot still giamaicani e usava questi Rum per le proprie creazioni miscelandoli fra loro insieme a succhi di frutta e spezie. Non è bastato questo sussulto a salvare decine di distillerie sparse per tutti i Caraibi però. Tutta la seconda parte del ventesimo secolo è caratterizzata da chiusure di impianti produttivi, acquisizione di marchi da parte delle multinazionali, nazionalizzazioni e stravolgimenti epocali che hanno portato, per esempio, ad avere un’unica distilleria superstite in quella che era la terra promessa del Rum: la Guyana (qui un interessante approfondimento di Velier sui traslochi di distillerie e alambicchi in Guyana). In tutto questo stillicidio di realtà storiche si sono perse abilità e conoscenze, alambicchi e a volte anche lo spirito stesso che legava certe distillerie al territorio in cui erano situate. Ci sono territori che hanno dismesso completamente la coltivazione di canna da zucchero e che solo recentemente hanno riscoperto il legame con questa attività (come Marie Galante). La foto del periodo che va dal secondo dopoguerra agli anni 90’ del ventesimo secolo è più o meno questa: in Inghilterra il Rum deve essere bello forte e scuro, negli Usa e in sud America si beve light Rum spesso in drink alla frutta, in Francia si beve solo, e poco, Rhum Agricole. Dagli anni 90’ le operazioni commerciali per ricamare attorno a prodotti abbastanza scadenti racconti altisonanti non si contano e i risultati li vediamo ancora oggi. In quegli anni particolarmente duri sono sopravvissute però alcune realtà che sono state la vera resistenza del Rum ancora legato ad un mondo che non c’è più. Mount Gay, Appleton, Foursquare e persone come Luca Gargano hanno permesso a queste fiammelle di divampare, creando i presupposti perché realtà ormai perdute o semisconosciute (come Hampden) potessero emergere e realizzare i propri prodotti. C’è ancora un grande pubblico che è legato a stereotipi sia storici che gustativi (i rum dolci, il coca e rum, etc…) ma sicuramente siamo in un momento in cui il Rum di qualità può trovare il proprio spazio e competere con altri distillati considerati, a torto, maggiormente degni di nota

Questo piccolo viaggio storico finisce qui. Spero vi siate divertiti a leggere quanto mi sono divertito io a scrivere. Il prossimo impegno sarà dedicato ai processi produttivi, stay tuned!

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