Piccola guida per non addetti ai lavori, il rum facile. Se avete domande su come si produce il rum probabilmente qui troverete le risposte!

Approfittando di una serie di incontri che ho svolto presso un piccolo negozio di Bologna (Spiriteca) ho deciso di rendere disponibile una piccola dispensa per chi del rum proprio non consoce nulla. Se volete conoscere in maniera più approfondita la stupefacente storia del RUM potete andare alla sezione dedicata del sito. Di seguito invece trovate un sunto di come si produce questo fantastico distillato! Usciranno articoli specifici su ciascuno degli argomenti ma come punto di partenza è un buon inizio!

Cos’è il Rum?

Partiamo dalla base, ma che cosa è esattamente il Rum? Il rum (ron o rhum sono sinonimi) non è un liquore, ma un distillato! Il distillato è il risultato di vari processi fisici e chimici che portano a concentrare un prodotto separando dall’acqua quello che ci interessa ottenere, in questo caso alcool. Come tutti i distillati abbiamo bisogno di una materia prima vegetale che contenga una quantità più o meno alta di zucchero, che poi verrà trasformato in alcool con la fermentazione e concentrato tramite distillazione. Lo zucchero, ecco il vero protagonista di tutto questo racconto che comincia in Papa Nuova Guinea un bel po’ di anni fa.

La materia prima

Come ormai saprai la materia prima da cui origina il Rum è la canna da zucchero. Il rum può essere distillato a partire da svariati prodotti di questa pianta ma per comodità semplificherò enormemente il concetto dicendoti che il rum si può produrre distillando il succo fresco della canna appena spremuta o distillando la melassa (ciò che rimane dopo la produzione di zucchero di canna). I due elementi appena citati sono profondamente diversi tra loro, il succo è ricchissimo di profumi, è delizioso da bere così come esce dalla pressa ma è anche estremamente delicato. L’altro punto di partenza per la produzione di rum può essere la melassa, un liquido denso e viscoso che rimane dopo la cristallizzazione dello zucchero, un cui però son ancora presenti un certo residuo zuccherino e numerose sostanze aromatiche. Anche qui semplifico molto, esistono varie tipologie di melassa, di minor o maggiore qualità, da cui, inevitabilmente, discenderanno prodotti diversi.

A differenza dei malti e del grano, la canna da zucchero presenta delle caratteristiche aromatiche molto spiccate. Delle centinaia di varietà ormai presenti nel mondo possiamo identificare caratteristiche organolettiche estremamente diverse tra loro. La canna da zucchero in questo presenta numerosi punti di contatto con l’uva e apre lo sguardo sul concetto di terroir, una serie di caratteristiche che identificano un prodotto come espressione del suo territorio di provenienza.

Ricapitolando quindi abbiamo:

Il rum da melassa, tradizionalmente il più antico, quello maggiormente prodotto

Il rum da puro succo, meno rappresentato finora ma in forte crescita come volumi e come interesse da parte del mercato

Il rum “agricole”, è rum da puro succo, ma per onor di cronaca si può chiamare così solo il Rhum Agricole AOC, che è come la nostra denominazione di origine controllata, prodotto in Martinica secondo un disciplinare ben preciso, presente dal 1996. Ultimamente però il mercato comincia a definire rhum agricole anche altri prodotti, sempre però aventi come materia prima il puro succo di canna da zucchero.

    Fermentazione

    Come in tutti, ma proprio tutti, i distillati un aspetto poco conosciuto ma estremamente importante è la fermentazione. Cosa fermentiamo esattamente? Cosa avviene durante la fermentazione?

    La fermentazione è un processo chimico e fisico attraverso il quale una sostanza in cui è disciolto zucchero subisce una trasformazione ad opera di batteri (che chiameremo lieviti) in cui lo zucchero viene trasformato in alcool. Questa è una semplificazione estrema, sulla sola fermentazione esistono libri e trattati scientifici, ma non è questo il luogo per affrontare in maniera tecnica la cosa. Ti dico però cosa avviene per il rum.

    Quello che stai per leggere è molto semplificato, alla fine di questa piccola dispensa metterò una bibliografia con cui potrai approfondire tutti gli aspetti trattati in queste pagine.

    Che sia melassa o succo di canna da zucchero (o succo concentrato) la materia prima viene miscelata con acqua e poi messa in grandi tini (di legno, di cemento, di acciao, etc). In questi tini avviene il contatto tra la miscela e i lieviti. I lieviti “mangiano” lo zucchero e producono alcool, insieme ad altre sostanze specifiche per i singoli lieviti. Un lievito A darà tendenzialmente una componente aromatica specifica, il lievito B un’altra aromaticità e così via. Ma questi lieviti da dove provengono? Ci sono due grandi scuole di pensiero:

    1. Pensiero dominante: lieviti selezionati e coltivati all’interno delle distillerie dopo anni e anni di esperimenti per andare a creare un profilo aromatico ben preciso.
    2. Pazzi furiosi: fermentazione spontanea, in pratica si lascia fare all’ambiente e ai lieviti naturalmente presenti nei tini e nelle distillerie. A volte si aggiungono anche elementi esterni per velocizzare o cambiare questo processo (come per esempio fecce di frutta e altre sostanze vegetali a loro volta in fase fermentativa).

    Non c’è un sistema migliore dell’altro, spesso vi è una sovrapposizione di diverse tecniche, ma in generale la scelta di affidarsi a determinati lieviti o a madre natura dipende dal profilo aromatico che il distillatore vuole ottenere e dalla cultura di quella distilleria.

    Ma perché è così importante la fermentazione? Beh, in questa fase i lieviti trasformano sì lo zucchero in alcool, ma nei tini si sviluppano diversi tipi di alcoli e soprattutto sostanza aromatiche che poi in fase di distillazione daranno vita a una miriade di prodotti aromatici diversi. La fermentazione una volta avviata può e deve in qualche modo essere controllata nei suoi elementi caratterizzanti, i lieviti infatti sono molto suscettibili alla variazione delle temperature, che incidono anche sul profilo aromatico che si andrà a creare. Stessa cosa per l’acidità del mosto. A loro volta i lieviti durante il metabolismo dello zucchero producono calore, è un processo vivo, che si può controllare ma in cui le sorprese sono sempre dietro l’angolo. I parametri su cui influire durante la fermentazione sono decine e decine, non li possiamo affrontare in questo piccolo memorandum, ma sappiate che la fermentazione, se ben eseguita o lasciata all’ambiente selvaggio in cui si trovano tante distillerie, può regalarci prodotti davvero emozionanti (pensate ai rum giamaicani di Hampden, ai Clairin o ancora ai grand Arome della Reunion).

    Distillazione

    Bene, ora abbiamo il nostro mosto fermentato, in cui lo zucchero ha lasciato spazio a una quantità d’alcool piuttosto bassa e una discreta quantità di altre sostanze aromatiche. Cosa ce ne facciamo? Lo distilliamo!

    L’alambicco è uno strumento di origine saracena, poi perfezionato in Europa. La parola alambicco è di origine saracena, così come la stessa parola zucchero. Di fatto si tratta di uno strumento che tramite calore permette all’alcool e alle altre sostanze aromatiche di separarsi dall’acqua per evaporazione. L’alcool evapora molto prima dell’acqua, quindi mantenendo la giusta temperatura si può fare evaporare la componente etilica della miscela per poi condensarla in un altro contenitore raffreddando il vapore. L’evoluzione tecnica ha portato alla nascita di tante tipologie di alambicchi. I più rudimentali consistono in una semplice pentola con un tubo di raffreddamento attaccato, poi sono arrivati i veri e propri pot still e successivamente le multicolonne industriali. Ma andiamo con ordine. La prima distinzione, la più importante è tra distillazione discontinua e continua.

    1. Distillazione discontinua, in pratica l’artigiano prepara il composto, accende l’alambicco, lo regola, lo coccola ed esce un prodotto di una singola distillazione. È quello che accade con i Pot Still, le colonne Coffey, le colonne Creole e in generale tutti gli alambicchi ibridi che nascono unendo queste diverse tecnologie.
    2. Distillazione continua, promossa da Facundo Bacardi ai primi del 900, in cui la distillazione va a ciclo continuo passando di colonna in colonna fino ad ottenere un alcool molto leggero, con gradazioni elevate ma purtroppo povere di aromi. Sono le stesse colonne che si usano per produrre etanolo di origine vegetale.

    Ma cosa succede all’interno degli alambicchi? Partiamo dal presupposto che più il mosto sta a contatto con il rame, il calore e tutta l’agitazione che si crea all’interno dell’alambicco e più va incontro a vari fenomeni, con il risultato di avere un impoverimento generale degli aromi a favore di una gradazione alcolica più alta. Semplificando enormemente: più la distillazione è lunga e continua (multicolonna) più il distillato uscirà alto in grado e povero in aroma, se utilizziamo un pot still con distillazione breve uscirà un distillato ricco in aromi (talvolta anche troppo) e povero in alcool. Praticamente tutti i Rum che vengono distillati in pot still necessitano di una doppia distillazione per uscire ad un grado che riesca a tenere l’invecchiamento in botte. Mentre dalle colonne singole o creole esce giù un distillato con una gradazione elevata pur mantenendo un importante fattore aromatico. L’invenzione di nuovi alambicchi e la scelta tecnica di utilizzarne uno a discapito di un altro rispondono a necessità di tipo sia industriale che commerciale. I gusti dei consumatori hanno guidato nei secoli l’evoluzione tecnica, con la tendenza progressiva ad abbandonare i rum heavy (tipicamente prodotti in Guyana e in Giamaica con alambicchi pot still) in favore di quelli light. Sul sito ci sono vari approfondimenti in merito ma l’evoluzione della distillazione ha seguito una curva che partendo dal pot still è passato attraverso le colonne singole fino ad arrivare ai multicolonna che hanno spadroneggiato durante tutto il ventesimo secolo. Da poco più di vent’anni si è finalmente fatto qualche passo in avanti tornando un po’ indietro: la distillazione discontinua è tornata ad occupare il proprio posto sotto i riflettori della qualità e dell’eccellenza. Se vuoi approfondire la storia degli alambicchi vai alla sezione dedicata del sito!

    Invecchiamento

    Cosa ce ne facciamo di tutto il rum che è uscito dall’alambicco? Innanzitutto, il distillato deve riposare, svariati mesi di solito, per permettere ai processi chimici di stabilizzarsi e far emergere tutte quelle caratteristiche derivanti da fermentazione e distillazione. Dopo questa fase di riposo, che avviene solitamente in materiali che non presentano particolari interazioni con il distillato, la scelta è se imbottigliare il rum così come è o di metterlo invecchiamento. Considera che la maggior parte del rum prodotto viene consumato “unaged” quindi senza invecchiamento in legno. Partiamo da un presupposto fondamentale, il rum nel pieno della sua freschezza e intensità aromatica si può degustare senza che abbia passato del tempo a contatto con il legno della botte. I rum non invecchiati sono un mondo meraviglioso che ti invito a scoprire, non per la sola miscelazione. Gustali lisci così come sono. Ti troverai davanti ad un’esplosione di aromi e profumi.

    Storicamente, sin dalla nascita della distillazione, i rum “bianchi” erano messi in botti di legno di quercia e stoccati in magazzini in attesa di essere caricati su una nave che portasse il distillato verso l’Europa, soprattutto Inghilterra, o verso gli Stati Uniti. Qualche mese nei magazzini, altri mesi di navigazione ed ecco che il distillato bianco arrivava nei magazzini dei vari commercianti europei già con un parziale affinamento in botte. L’invecchiamento a quel punto seguiva logiche di mercato (ogni commerciante aveva il proprio marchio e la ricetta del blend, cioè l’unione di diversi rum per ottenere un prodotto stabile nel tempo). Quindi l’invecchiamento nasce sia per ragioni forzate (i tempi di trasporto e stoccaggio) sia per avere tanti “ingredienti” con cui confezionare il proprio prodotto.

    Su una cosa però dobbiamo essere chiari e netti, il rum, come ogni altro distillato, più invecchia e più diventa legnoso. La mitologia del marketing per cui più il rum sta in botte e più diventa morbido e vellutato è una grandissima truffa. Più il prodotto sta in legno e più prende dal legno componenti aromatiche, tra cui i tannini, che regalano al rum struttura e, appunto, astringenza da legno. Un altro elemento importante è il luogo in cui l’invecchiamento avviene. Se siamo ai Caraibi, in cui la temperatura e l’umidità sono di un certo tipo, avremo delle interazioni molto diverse tra distillato e botte rispetto a quelle che possiamo aspettarci, per esempio, in Scozia. La botte è un essere “vivo”, respira, fa entrare aria dall’esterno e fa uscire liquido sotto forma di vapore dall’interno. Ogni anno di invecchiamento ai Caraibi può far evaporare dalla botte anche il 7% di prodotto, con punte che raggiungono il 9% (il famoso Angel’s Share). Il liquido che rimane all’interno della botte subisce ancora di più l’influenza del legno, con i risultati che ho spiegato prima. Anche qui sto semplificando molto, ci sono centinaia di variabili in gioco (quanto è nuova la botte, quante volte è stata riempita e svuotata, il legno con cui è prodotta, dove viene invecchiato, quali correnti d’aria girano, vicinanza e lontananza dal mare, etc.) ma tutto questo è per farvi capire che dobbiamo sempre distinguere il marketing dalla realtà. Credo sinceramente che la maggior parte dei rum diano il meglio di sé con un invecchiamento fino ad un massimo di 8 anni, con invecchiamenti superiori servono palati allenati.

    E quindi vi starete chiedendo, come è possibile che ci siano rum con 23 o 25 anni di invecchiamento così morbidi e dolcini da lasciare senza parole? Qui arriviamo al punto dolente della nostra chiacchierata. Se ricordate ogni anno una certa di quantità di Rum se ne va dalla botte per evaporazione, se ci troviamo davanti a un rum con 10 o 15 anni di reale invecchiamento tropicale beh, ci dobbiamo aspettare un profilo piuttosto legnoso, poco beverino e non per tutti i palati. Il problema è che nel mondo del rum ogni paese di provenienza ha delle regole diverse per quanto concerne l’etichettatura del distillato. In alcuni paesi, soprattutto del centro America, basta che sia presente nel blend una minima quantità di rum invecchiato X anni per indicare quella cifra in etichetta. In pratica, io posso avere un rum blend da multicolonna invecchiato pochi anni ma che, avendo al suo interno una percentuale di rum invecchiato anche 25 anni, posso indicare come invecchiato in toto 25 anni. Fa eccezione Panama, per cui l’età deve rispecchiare una media ponderata dei rum presenti all’interno del blend. In generale le realtà che danno maggiori garanzie sugli invecchiamenti sono Giamaica, Barbados e Guyana, in cui il numero in etichetta deve, per legge, rappresentare il rum più giovane all’interno del blend.

    Altro elemento che negli ultimi vent’anni ha davvero drogato il mercato è l’addizione nei nostri amati rum di parecchie sostanze che con un distillato non c’entra assolutamente nulla. Se storicamente un’addizione di zucchero di 5 gr/L era una pratica consolidata si è arrivati ad eccessi che hanno visto punte di 35 gr/L di zucchero aggiunto. In pratica da un distillato si è passati ad avere in bottiglia un liquore. Lo zucchero chiaramente rende il prodotto più gradevole, appiattisce il gusto e aiuta a sostenere quella sensazione di velluto che tanto piace. Secondo la nuova normativa europea alcuni prodotti attualmente sul mercato non si possono più chiamare Rum. Alcuni produttori hanno cambiato la ricetta, altri hanno smesso di scrivere Rum sull’etichetta che nel frattempo è però rimasta praticamente identica. Altra considerazione doverosa anche se spiacevole per alcuni, non solo lo zucchero finisce nella bottiglia. Ancora oggi alcuni dei prodotti più venduti, perché spinti da marketing esasperato ed esasperante, sono pieni di altre sostanze tra cui: E150D per il colore (come la coca cola), caramello, glicerina e glicerolo per la sensazione di morbidezza e voluttuosità in bocca, vanillina (quando basterebbe utilizzare botti di quercia americana per avere tutta l’aroma di vaniglia di questo mondo).

    Chiusa questa piccola parentesi, la stragrande maggioranza dei distillati del mondo invecchia in botti ex bourbon, il motivo è che è pieno di queste botte a buon mercato. In realtà questo legno conferisce al rum un sentore di vaniglia e un livello di tannini piacevole. Non mancano però variazioni sul tema, con finish (quindi si fa un invecchiamento inziale in ex bourbon per poi finire con un’altra botte) tra i più disparati: sherry, porto, marsala, whisky, madeira, etc.). Questa pratica a volte è anche un po’ sfuggita di mano ma se ben utilizzata ci regala prodotti davvero piacevoli e fuori dai soliti schemi.

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